[New Music Weekly] Ginevra Di Marco in ricordo di Margherita Hack, gli Shame al circo, gli Shower Curtain in cerca di un buon insetticida
Settimana 27 – con Ceri Wax, Ginevra Di Marco & Gianni Maroccolo, Ho99o9, Litania, Morgan King, Replaced by Robots, Shame, Shower Curtain, Siouxie & the Skunks, UnityTX.
↗️Leggi sul sito↗️
Qualcuno ha detto CCCP ma voleva dire C.S.I.? Può capitare, nell’ubriacatura mediatica post-reunion. E se la speranza in un ritorno anche del Consorzio è l’ultima a morire, intanto godiamoci Ginevra Di Marco, che – insieme al compagno Francesco Magnelli e all’amico Gianni Maroccolo – omaggia l’eccezionale figura di Margherita Hack.
Rimanendo sempre in Italia, segnaliamo poi il nuovo lavoro solista di Stefano Ceri (elettronica ballabile ma comunque artigianale, dietro il moniker Ceri Wax), il folk pesantissimo – quasi metal – dei Litania (nuovo progetto capitanato da Elli de Mon), il punk sporco da glory hole di Siouxie & the Skunks, fresco di un nuovo video a dir poco riuscito.
Ma se parliamo di punk, ecco la virata degli Shame, che mandano a farsi benedire la crank wave e passano a un alt rock così immediato che quasi strizza l’occhio al britpop. Stessa cosa che fanno (ma dal lato opposto, quello che già sguazzava nella fine dei Nineties) gli Shower Curtain, alle prese con i loro scheletri nell’armadio mascherati da piattole sotto il letto. E in tema anni ‘90, qualcuno si ricorda per caso i God Lives Underwater? Ecco, qualunque sia la risposta, ascoltatevi gli Ho99o9 (per farvi un’idea o ammazzarvi di nostalgia).
Il resto passa dall’anima poliedrica e dalla dance raffinata di Morgan King, dal metal contaminatissimo degli UnityTX e – last but not least – dai Replaced by Robots, gente (navigatissima) a cui non può che andare la nostra simpatia più sincera, anche solo per il nome.
Ceri Wax: Solo 2
Genere: Electro
In questi anni Stefano Ceri (per l’occasione Ceri Vax) ha sempre dimostrato di avere manualità, competenze e genio: attributi giusti per poter affrontare la realtà del produttore rap e urban, ma anche pop, collaborando con i nomi più o meno grossi del panorama italiano come Coez, Mahmood, Crookers, Franco126, Alan Sorrenti, Tatum Rush e Salmo.
Qui invece parliamo d’altro, ovvero della musica che Stefano tiene per sé e pubblica a suo nome e che con il passare del tempo diventa sempre più consistente ed esposta. Il debutto Solo e il seguito Insieme, i due volumi di Waxtape, Il suono di Milano Nord: mille sfaccettature che sottolineano le capacità di un producer dallo sguardo ampio, che con questo Solo 2 riesce a scrivere una strumentale toccante come antipasto del nuovo disco Ondatonda. Si viaggia decisi ma smussati, protetti dalla propria casa anche mentre ci si espone attraverso webcam e computer, mischiando fantasie, reale e virtuale.
È musica dance volatile, friabile, leggera eppure tagliata perfettamente come ci fosse un grande artigiano ai comandi, in grado di sentire che tipo di commento ci voglia per un determinato tipo di narrazione. I media si compenetrano, tutto è movimento, soddisfazione e dramma e la musica si fa insieme summa e speranza. Atmosfere vaporose eppure tangibili, digitali ma quasi da prendere con le mani, fermare e abbracciare, emozionati.
↗️Leggi sul sito↗️
Ginevra Di Marco (feat. Gianni Maroccolo): Ballata per Margherita
Genere: Altra musica
di Max Zarucchi
Nell’ubriacatura mediatica dell’anno scorso data dalla reunion dei CCCP Fedeli alla linea (quest’anno, va notato, si è tutti un po’ più astemi) non sono mancate parole spese per i C.S.I., comprese speranze e chiacchiere da bar su possibili rimpatriate. Mai dire mai, anche se… spesso perdiamo troppo tempo pensando a ciò che non abbiamo e non ci rendiamo conto di quello che c’è, perdendoci tutto il buono che la vita ci regala nel presente.
Tipo questo nuovo brano di Ginevra Di Marco, sempre affiancata dal compagno di vita Francesco Magnelli e accompagnata per l’occasione da Gianni Maroccolo, ovvero tre delle colonne portanti dei furono Consorzio Suonatori Indipendenti. Ballata per Margherita è una splendida dedica in musica a Margherita Hack, una delle menti libere più vivide che il mondo abbia mai conosciuto, un tributo che è un regalo sia al ricordo della scienziata delle stelle, sia a tutti coloro che avranno desiderio di ascoltare il brano. Sognante, malinconica, profonda, con un testo di spessore come ci stiamo tristemente disabituando ad ascoltare, il brano ruota attorno all’intreccio perfetto tra il delicatissimo piano di Francesco e la voce sempre cristallina di Ginevra, lasciando il giusto spazio agli interventi di Gianni che, assieme alla batteria sussurrata di Luca Ragazzo e le chitarre liquide e distanti di Andrea Salvadori, creano una storia in musica capace di rapire sempre di più ascolto dopo ascolto.
Tratta dallo splendido, nuovo album intitolato Kaleidoscope (sì, proprio come il terzo disco di Siouxsie and the Banshees: quasi certamente non a caso), Ballata per Margherita probabilmente – e purtroppo – non riceverà né gli elogi delle masse né i riconoscimenti della critica generalista, ma per chi saprà ascoltare è uno dei brani migliori non solo della carriera solista della Di Marco, ma anche di un certo modo di intendere la musica indipendente in Italia. Ossigeno per orecchie ormai stanche di scopiazzature e pattume sonoro spacciato per arte.
↗️Leggi sul sito↗️
Ho99o9: Upside Down
Qualcuno se li ricorda i God Lives Underwater? Un bel gruppo sottovalutato della scena Nineties che mischiava gli Alice in Chains con un filo di elettronica e dub. C’entrano qualcosa con questo articolo sugli Ho99o9? Forse no, ma il nuovo singolo Upside Down me li ha ricordati parecchio. E mi sembrava un buon modo per introdurre un pezzo che sicuramente farà la felicità di chi dai cari e vecchi Novanta non se ne è mai andato per davvero.
Fortuna per lui che in gran parte del mondo della musica (e non solo) si sta assistendo a un vero e proprio revival di quella decade. Il singolone nuovo dei losangelini ex newjerseyani è una vera e propria fusione di tutte le influenze che la band si è portata in saccoccia da quegli anni: sperimentale, hip hop, rock digitale, industrial, hardcore, punk futuristico e techno eccentrica. E ci dà subito l’impressione che questa cosa funzioni ancora dannatamente bene.
«Quando abbiamo iniziato questo processo, sapevamo di voler creare canzoni più comprensibili», afferma theOGM. «È stata una sana sfida concentrarsi sulle emozioni. In passato, gran parte del nostro materiale aveva una forte connotazione politica. Questo elemento è presente in una certa misura, ma volevamo intraprendere una strada più personale. Questa mentalità ha guidato il modo in cui abbiamo scritto le canzoni. Tutti combattono una loro lotta. L’obiettivo è trovare la motivazione per la conservazione».
Il brano arriva accompagnato da un video distopico ambientato in un mondo in cui lo yuan cinese è la valuta mondiale e l’acqua è diventata una merce del mercato nero. Distopico… ma tremendamente dietro l’angolo: così sembrano dirci theOGM e Yeti Bones. Estetica ovviamente figlia del solito periodo e produzione moderna, ma sempre reminiscente delle grandi saturazioni delle big band di quegli anni.
Gli Ho99o9 non sono certo un gruppo uscito ieri, eppure quindici anni di attività sembrano ancora pochi per cogliere appieno ciò che i due ragazzotti di Newark stanno ricordando a quelli come noi. La fine è ancora una volta vicina. E i suoni sono quelli che ci piacciono di quando già ce lo raccontavano.
↗️Leggi sul sito↗️
Litania: Manasi Devi
A voce, harmonium, sitar e dilruba Elli de Mon, Marco degli Esposti a chitarre e droni, Enrico Baraldi al basso e Vladimir Marikoski alla batteria. Manasi Devi, il pensiero di colei che risplende, un sulfureo blues, pesante senza essere mai tronfio né violento, ma che sfrutta i vapori e gli aromi per far salire ancor di più la temperatura rendendo palco e stereo un filo diretto con i misteri d’Oriente.
Si segna una via, un percorso, una traccia che ci spinge a seguire il suono dei Litania, incuranti di ciò che potrebbe accadere. Musica che ci prende per mano e ci guida, come poteva essere quella dei Jefferson Airplane o di Fursaxa. Parole che diventano suono, fiato che diventa brezza e carezza, strumenti che dilatano il suono senza appesantirlo, garantendo il giusto ritmo. Quando Elli de Mon finisce la sua parte cantata si sentono spalancare le porte oscure, vera e propria discesa nell’abisso e nel mistero, ma ormai accompagneremmo i Litania ovunque, dritti nella fila che forse ci porterà al riparo o alla vita eterna.
Musica come droga, musica come cura, litania che avvolge e dalla quale non vogliamo farci lasciare in nessun caso: tra blues, rock, tradizioni miste e lontane.
↗️Leggi sul sito↗️
Morgan King: Love Tsunami
di Max Zarucchi
Se un giorno vi capitasse di incontrare Morgan King al pub, non vi rendereste conto di quanta carriera ha quest’uomo nel suo curriculum. Umile e con i piedi ben piantati per terra, è uno di quei rari esempi di musicista che ama suonare, comporre, esibirsi, ma che non ha mai voluto cedere alle tentazioni della fama e dello stardom: non gli interessa, non è nel suo essere, e le stravaganze artistiche preferisce lasciarle nella sua musica. Attivo dagli albori degli ‘80 (la sua prima band, Illustration, appare sulla fondamentale compilation Some Bizarre al fianco di artisti al debutto come Depeche Mode, The The e Soft Cell) ha lavorato con gente del calibro di Martin Hannett e Mike Hedges prima di trasferirsi sul finire della decade a Chicago giusto per godersi l’esplosione della house, esperienza che porterà con sé nel suo ritorno in Europa e gli regalerà diverse soddisfazioni nel mondo della club culture.
Negli ultimi anni ha stretto una forte amicizia, sfociata in collaborazione, con il produttore genovese Giulio Gaietto: questa Love Tsunami è uno dei frutti della liaison artistica, uno spaccato delle diverse tonalità di colore sulla tavolozza delle tempere di Morgan. Se la precedente The Snow in Moonlight ci regalava infatti il suo lato più intimista e poeticamente sognante, con Love Tsunami il piedino torna a battere su un tappeto electro raffinato e mai invasivo, coinvolgente ed elegante, dove ogni beat ha un peso specifico e i synth sono usati con parsimonia e intelligenza.
L’anima poliedrica di Morgan King non cessa di stupire, grazie anche a un’ispirazione innata che sembra non esaurirsi mai. Un artista vero, puro e limpido, ma se glielo diceste sicuramente lui scrollerebbe le spalle sorridendo, pur sapendo in fondo che avete ragione.
↗️Leggi sul sito↗️
Replaced by Robots: Since You Broke My Ouija Board
di Max Zarucchi
Primo: il moniker non poteva passare inosservato alla redazione, motivo per cui la curiosità era già alta ancora prima di schiacciare PLAY, perché quello (essere sostituiti dai robot) è proprio ciò contro cui HVSR lotta ogni giorno.
Secondo: ancor prima di premere il suddetto pulsantino di avvio, saltava all’occhio che dietro il banco regia trovavamo gente del calibro di Josh Hager (Devo), Paul Q. Kolderie (Dinosaur Jr, Throwing Muses, Radiohead, Pixies) e Terry Palmer: mica pizza e fichi.
Terzo: vengono da Portsmouth, come i Cranes, cosa che ce li rende automaticamente simpatici.
Quarto: a volte l’istinto inganna, ma stavolta no. Così Since You Broke My Ouija Board dei Replaced by Robots ha conquistato cuore e orecchie dal primo ascolto. Sognante ma ballabile, quel suo piglio Fifties riletto in chiave moderna e passato al forno tra suggestioni anni Ottanta e intuizioni anni Novanta ha fatto inevitabilmente breccia nei cuoricini degli umani. Sarà per la suadente voce tra l’innocenza e l’ammiccamento di Heather Joy Morgan, sarà per le musiche splendidamente amalgamate di Goolkasian e Adam Wade, sarà per quel gusto rétro che fa fine e non impegna, ma difficilmente non viene voglia di riascoltarla più volte.
Ah, la nostalgia… se ci fosse ancora MTV 120 Minutes questi ragazzi del New Hampshire sarebbero un tormentone da paura! Try them.
↗️Leggi sul sito↗️
Shame: Cutthroat
Genere: Rock
Che gli Shame abbiano lasciato andare in maniera piuttosto naturale quel velo di seriosità radicato al revival post-punk degli ultimi anni pare piuttosto evidente: l’impeto oscuro e inquieto di Dust on Trial? Tolto di mezzo. Drunk Tank Pink? Ormai acqua passata.
Già Food for Worms, pur restando inevitabilmente ancorato a certe sonorità che hanno rappresentato lo starter dello Shame sound, faceva intravedere i semini di questa migrazione verso i lidi di un rock più incisivo e, in fin dei conti, più cazzone.
Cutthroat prende il testimone di questa mutazione, va a maneggiare le chitarre proprio come faceva Six-Pack: senza scrupoli e mandando a quel paese il portamento enigmatico del “lato oscuro” della crank wave.
Charlie Steen, ormai frontman e one man show, tira a lucido i consueti boxer dorati e inizia la mattanza – se li avete visti live in apertura ai Fontaines D.C., buon per voi. Altrimenti recuperatevi qualche loro esibizione infuocata sul Tubo.
Cutthroat incorpora le fattezze del perfetto apripista in sede live, tanto concisa, essenziale e dritta in faccia è la nuova traccia dei londinesi: il riffone ossessivo e martellante scolpito da Eddie Green, il testo scanzonato che custodisce un prezioso dito medio direzionato ai cunts che ci circondano, il refrain balsamico e ancheggiante che lascia sospirare le chitarre roventi.
Insomma, l’alt rock degli Shame pare prendere sempre di più le distanze da tale prefisso, trapiantandosi inevitabilmente sotto quel classicheggiante cupolone con su scritto “britpop”. E a noi piacciono lo stesso, sempre e comunque.
↗️Leggi sul sito↗️
Shower Curtain: Bedbugs
Avete presente quella sensazione di quando siete sdraiati a letto, con gli occhi spalancati alle 3:47 del mattino, convinti che qualcosa vi sta camminando su una gamba? Probabilmente è solo senso di colpa, angoscia latente o il residuo psichico di quel messaggio a cui vi siete dimenticati di rispondere sei mesi fa – ma, per sicurezza, meglio avere il Raid a portata di mano, giusto? Ecco, gli Shower Curtain (band di stanza a Brooklyn, guidata dall’artista brasiliano-americana Victoria Winter) non solo ce l’hanno presente: con questo singolo la prendono per le zampette e la amplificano grazie a una spinta di distorsione, sarcasmo e a un giro di basso nascosto sotto che sembra abbia tutta l’intenzione di masticarti le doghe in legno.
Bedbugs riesce a distillare l’ansia profondamente specifica delle infestazioni invisibili in un inno paranoico e pieno di fuzz, che parte dal cocktail alla base del debutto Words from a Wishing Well (fatto di malessere, nostalgia e troppi scontrini da pagare tipico dell’età adulta), e ci inzuppa un’oliva grossa così fino a farlo traboccare in maniera nevrotica e pruriginosa.
Musicalmente siamo dalle parti di un grunge – se il grunge fosse cresciuto, avesse trovato lavoro in una galleria d’arte e continuasse lo stesso a rifiutarsi di affrontare i propri traumi – rimasticato in salsa shoegaze: quell’alternative di fine anni ‘90 che ultimamente ha ritrovato una certa verve grazie a gente (tutte band prevalentemente al femminile, chissà se è un caso) come Wednesday, Bully, Horsegirl. Ma anche i fan della prima St. Vincent apprezzeranno l’eccentricità dei testi avvolta in un’angoscia lucidissima, mentre chi ha scavato nei lati più instabili della discografia di Courtney Barnett ritroverà la stessa energia apprensiva, ma con meno logorrea di contorno. Il cantato oscilla tra l’etereo e l’irritato, dando voce a quella spirale di pensieri ossessivi che inizia con un morso sospetto e finisce in una crisi esistenziale completa. Il tutto accompagnato da riff serrati e fangosi e da una batteria che sembra voler scrollarsi di dosso le piattole (in senso buono).
Il videoclip, diretto dalla stessa Winter, abbraccia pienamente l’assurdità di un horror homemade, un thriller domestico con un villain a sei zampe e un avvertimento: molto spesso il mostro sotto il letto è più una metafora che un vero inquilino del materasso. È Kafka nell’era dei content creator, solo con un’illuminazione migliore e un ritornello che scivola via irresistibile come uno spruzzo di Autan sulla pelle la mattina presto.
Eppure, ciò che rende Bedbugs davvero apprezzabile non è solo la sua coesione sonora o l’estetica da panico lo-fi – per quanto entrambe riuscitissime – ma il modo in cui riesce a cogliere una verità millennial universale, benché raramente sottolineata a dovere: a volte sono le cose più piccole (reali o immaginate) quelle che ti mandano a tappeto sul serio. E se proprio devi andare in pezzi nel cuore della notte, tanto vale farlo con una canzone così. Chiamatelo post-punkettino. Chiamatelo noise-poppetto. Chiamate Giorgio Mastrota per controllare le cuciture del vostro materasso losangato. Comunque vada, gli Shower Curtain sono qui per mettervi a disagio senza impegno, nel modo meno traumatico e più catartico possibile.
↗️Leggi sul sito↗️
Siouxie & the Skunks: Glory Hole
Cominciamo a dire che Glory Hole di Siouxie & the Skunks in realtà era già contenuta nel loro ultimo album, Songs about Cuddles, uscito lo scorso anno per Wild Honey Records. Ma caso ha voluto che recentemente Marco Armando Alliegro si sia inventato una storia quanto più calzante sulla band (premete PLAY e guardatevi il video, ma mettete a letto i bambini), che non ha saputo dire no alla possibilità di mostrarsi in una provincia buia e zozza, dove la depravazione sembra possedere uomini in giacca e cravatta oppure in pelliccia. Tutto è disperso, come in un blues da frontiera, mentre Siouxie latra di luoghi poco raccomandabili, dove da ogni buco può arrivare una sorpresa.
Ma il tiro c’è, così come la capacità di rifarsi a musiche trite e ritrite, musiche che cercano soltanto onestà, la giusta deboscia e convinzione. Nulla che manchi a questi quattro minuti e mezzo scarsi, dove i Nostri, con una batteria che sembra arrivare direttamente dallo scantinato dell’amico pittore, riescono a suonare più veri e profondi di molte band laccate e pompate da uffici stampa tronfi e comunicati aggressivi.
Qui ci si scatena, guardando a Jennifer Herrema e a Cristina Martinez, le maestre insuperabili, riuscendo a portare la propria disperazione in una periferia credibile. Poi succeda quel che succeda, l’importante è non rimetterci collo o, alla meno peggio, curare che ogni sbandata abbia la corretta colonna sonora. Se volete il blues punk più marcio della settimana lo trovate qui, con due euro in più vi mettiamo anche una birra tiepida e una correzione a scelta. Ora zitti però, che forse fanno la prossima.
↗️Leggi sul sito↗️
UnityTX: Heinous
di Max Zarucchi
Uno dei motivi della longevità del metal è la sua apertura alle contaminazioni. Checché ne dicano puristi e gatekeepers, se il genere dopo quasi mezzo secolo è ancora vivo e vegeto (perlomeno a guardare le affluenze dei numerosi festival tematici sparsi in mezzo mondo – numeri ben lontani da altri sottogeneri del rock) è soprattutto grazie al suo essere permeabile, senza paletti o preconcetti.
Poi ovvio, subentrano i gusti personali, motivo per cui se le vostre orecchie non tollerano altro che non siano Manowar, Metallica o Judas Priest, meglio non schiacciare il triangolino qui sopra. Ma se invece siete curiosi, fatelo ora: potrebbe essere la scoperta dell’anno.
Attivi dal 2015, i texani UnityX (cinque EP e un album all’attivo) non si sono mai tirati indietro quando si trattava di mescolare le carte metallose, e lo dimostrano anche con il nuovo singolo, Heinous. Industrial, trap, elettronica, metalcore, hardcore, hip hop, rap e ovviamente metal vanno a fondersi per quello che risulta essere forse il capitolo migliore sinora partorito dalla band di Dallas, dove finalmente sono riusciti a catturare in studio quella ferocia sparata in faccia che rende indimenticabili le loro esibizioni dal vivo.
Non importa da che parte stiate: se quello che cercate è un pugno dritto allo stomaco, qui c’è pane per i vostri denti.
↗️Leggi sul sito↗️
🖇️A proposito
⬅️Nel caso te li fossi persi
☕Sostienici
Fare Humans vs Robots ha un costo: ci offri un caffè?