[New Music Weekly] Le mille maschere di Tyler the Creator, le mille stelle di Emma Nolde, i mille anni sulla breccia dei Fuzztones
Settimana 41 – con Tyler the Creator, The Fuzztones, Emma Nolde, Greet Death, Black Doldrums, Venamoris, Sorry, This Eternal Decay, The Gentle Spring, Sinezamia.
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Nuovo album, nuovo travestimento. Novello Arturo Brachetti d’oltreoceano, Tyler the Creator diventa a questo giro St. Chroma, un personaggio mascherato e con un particolarissimo taglio di capelli basato sul racconto La cabina mágica di Norton Juster. Nuova musica, anche: allo stesso tempo sperimentale e accattivante, come da sempre ci ha abituato. Non hanno bisogno di costumi invece (anche se con approcci agli antipodi) Emma Nolde, che continua – alzando costantemente il livello della qualità – il suo viaggio verso un mainstream pop mai come in questo caso inteso in senso positivo, e i Fuzztones di Rudi Protrudi, riconoscibili nei secoli dei secoli fin dal primo riff distorto e sudaticcio.
Procediamo poi rigorosamente per coppie. Kevin Gibbard e Sophie Landers sono i Black Doldrums: lievi e nebbiosi, gotici e vibranti. Michael Hiscock ed Émilie Guillaumot si fanno chiamare Gentle Spring: lievi, impalpabili e seducenti. Asha Lorenz e Louis O’Bryen rappresentano la colonna portante dei Sorry, che si confermano una delle band più interessanti di questi anni ‘20. Paula e Dave Lombardo non hanno bisogni di presentazioni: tornano direttamente dal focolare domestico con il progetto Venamoris e dimostrano che fare un disco insieme non è niente male, come terapia familiare.
Il resto va dalla dark wave macchiata di slow core dei Greet Death, a quella macchiata di electro dei This Eternal Decay, passando per la cocciutaggine dei Sinezamia di Marco Grazzi, uno che se si fosse chiamato Pelù di cognome staremmo qui a raccontare tutta un’altra storia.
Black Doldrums: Dying for you
Pronti? Rewind: siamo nel 1983 in qualche scantinato londinese, Kevin Gibbard e Sophie Landers sono segretamente innamorati. Ma accade qualcosa – forse una maledizione – e il verdetto è chiaro: non potranno mai stare insieme. E allora nulla rimane se non struggersi e morire l’uno nell’altra, moderni Romeo e Giulietta, mentre tutto intorno la natura si risveglia facendosi oscura.
I suoni sono perfetti, laceranti nella loro semplicità, come se fossero riusciti a cristallizzare quei momenti e a rispedirceli facendoci accendere riflessi pavloviani.
Questi stessi suoni, il fumo degli spettacoli, le acconciature e i vestiti, l’eterna tristezza dell’albionico clima. Siamo nel 2024 e la casa è Fuzz Club, figlia probabilmente di qualche sortilegio, se ricordiamo che è nata nella rurale Norvegia durante la lunga più notte dell’anno. I Black Doldrums si muovono lievi e nebbiosi, gotici e vibranti, fra mari e campi. Una chitarra, un Korg: eros e thanatos.
Direi che mai altro sposalizio potesse essere più perfetto. La notte, la morte, l’amore: Kevin e Sophie, auguri, ci vedremo nell’aldilà e sarà bellissimo.
Emma Nolde: Pianopiano!
Emma Nolde, giovanissima cantautrice e polistrumentista, rappresenta una delle nuove proposte più interessanti in circolazione. Dimostra talento nella composizione di pezzi musicalmente complessi, ma al tempo stesso dotati di un certo e naturale valore mainstream, capaci di raggiungere un vasto pubblico.
Questa sua caratteristica la rende unica anche perché accompagna alla sua musica testi intelligenti ed emozionanti, come avviene, solo per farvi un esempio, nell’altro singolo Tutto scorre che ha anticipato l’uscita del suo nuovo album NUOVOSPAZIOTEMPO (vi consigliamo comunque di recuperare anche i suoi due dischi precedenti, soprattutto quel piccolo gioiello luccicante che è Dormi).
Pianopiano! è un singolo dotato di un gran ritmo capace di catturarti al primo ascolto, mentre il testo sembra un invito a recuperare il proprio tempo, contraddistinto spesso dallo scorrere dei giorni (dal lunedì al venerdì, tra file in auto e lavoro), a cercare di raggiungere i propri sogni e le stelle, ma senza che questa salita verso il cielo diventi un’affannosa ossessione, l’unico motivo della propria esistenza.
Emma riesce a essere convincente senza che la sua musica sia mai banale o strizzi l’occhio al desolante panorama pop italiano, ed è per questo decisamente da tenere in considerazione, ma ancor prima, da ringraziare.
Greet Death: Same But Different Now
Aria di musica nuova a Flint, Michigan? Così parrebbe sentendo il ritorno dei Greet Death, band che ormai manca da cinque anni all’appuntamento con un disco lungo. Il loro groove è tendenzialmente oscuro, ma come se fossero riusciti a inoculare della dark wave in un impasto slow core.
Voce eterea, riverberi e un’atmosfera angelica e ultraterrena evocano un autunno perenne e un vagare senza meta, guidati solo dal nostro stupido muscolo cardiaco. A tratti un flash, che ci riporta alla Canzone di domani dei Marlene Kuntz; poi ecco una grinta inattesa, una lontanissima visione hardcore che potrebbe riportarci ad alcune scene desertiche di Palm Springs, ma anche a zone d’ombra metal che sembrano essere ormai socialmente accettate.
La capacità dei Greet Death di continuare a suonare per minuti interi dopo che il pezzo se n’è bello che andato portandoci in un sano e vigoroso headbanging chiuso da un Larsen di chitarra ci fa parecchio sorridere e godere. Aspettiamoli, e vedremo che combineranno. Intanto Same but Different Now.
Sinezamia: Vanità
di Max Zarucchi
La cocciutaggine, la testa dura, l’impegno costante e la voglia di andare avanti a tutti i costi sono le caratteristiche che stanno alla base del progetto capitanato da Marco Grazzi, quei Sinezamia che in vent’anni di attività – pur avendo seminato molto più di quello che hanno raccolto – non hanno mai perso la fiducia in se stessi, fregandosene di tutto e tutti e andando avanti dritti per la loro strada.
Cambi di lineup, rovesciamenti di vite e menate varie non hanno minimamente scalfito la voglia di esprimersi dei Nostri che, con questo nuovo singolo festeggiano idealmente i cinque lustri dalla loro fondazione.
Un brano che, pur rimanendo fedele alle sonorità che hanno contraddistinto sinora il percorso della band, sacrifica la forte impronta new wave a favore di un rock sanguigno e mediterraneo, senza per questo risultare meno efficace. Anzi, sembra quasi che abbiano trovato un nuovo equilibrio solo apparentemente semplice dove le liriche e le linee vocali di Marco riescono a posarsi alla perfezione sulle musiche dei mantovani.
Siamo quindi di fronte a un capolavoro? No, non esageriamo, ma di certo se Vanità invece che essere registrata dai Sinezamia fosse stata presente nell’ultimo album di un certo Piero, pubblico e critica avrebbero gridato al miracolo per un ritorno a qualcosa con gli attributi fumanti.
Dote che a questa gente evidentemente non manca: avanti con la semina e al diavolo (giallo?) la gramigna.
Sorry: Waxwing
Nei primi anni ‘80 c’era un appuntamento imperdibile: era Mister Fantasy, di Carlo Massarini, che aveva il pregio di offrire un momento musicale pieno di offerte interessanti e scelte mai banali. Nel suo programma vedevamo passare anche il meglio della new wave mondiale e ogni puntata ci riservava qualche sorpresa.
Una sera, oltre alla presenza di uno dei miei preferiti, il mitico Elvis Costello – che presentava quello che poi sarebbe diventato un suo classico (Everyday I Write the Book) – e una sconvolgente e adorabile Nina Hagen, fece la sua comparsa una minuta ragazza pon pon: era Toni Basil. La cantante e ballerina faceva parte di quelle meteore che restano agganciate a un brano di successo. Ed è proprio quello che ottenne con la sua Mickey (cover della canzone Kitty del 1979 della band inglese dei Racey), che le donò una notorietà planetaria, ma che restò il suo unico momento di gloria.
Oggi i Sorry (band formidabile che nel 2022 era uscita con il secondo imperdibile album, Anywhere but Here, pieno di potenziali hit) tracciano un filo diretto con Mickey citando la medesima figura dell’amante topolino che negli anni ‘80 aveva decretato il successo della Basil, creando però questa volta un brano a tratti oscuro e acido.
I londinesi si confermano tra le formazioni più interessanti in circolazione: il loro è un sound moderno pieno di influenze – dal post-punk, all’hip-hop e al jazz – che loro trasformano, anche tramite l’elettronica, in qualcosa di fresco e realmente entusiasmante, che sembra in perenne movimento. Godiamoceli in questo brano che preannuncia il loro nuovo album, sicuri che ancora una volta riusciranno a fare centro.
The Fuzztones: Barking Up the Wrong Tree
di Max Zarucchi
Il problema delle uscite dei Fuzztones (e per esteso di ogni progetto che coinvolga il loro deus ex machina, Rudi Protrudi) è sempre lo stesso: è un pezzo nuovo? Un riadattamento? Una cover? Insomma tutta una serie di domande (lecite, ci mancherebbe) che però fanno perdere di vista il nucleo pulsante di tutta la questione, ovvero il divertimento.
Ecco, tra alti e bassi, successi e scivoloni, trionfi e sfighe, non si può dire che la carriera del leader indiscusso sia stata noiosa, anzi. Eppure sta ancora lì, classe 1952, cazzuto e massiccio, con la sua fida Vox Phantom a macinare riff come un ragazzino con un’attitudine così marcata che se solo la generazione dei suoi nipoti ne avesse un quarto non staremmo parlando di morte del rock and roll.
E il pezzo com’è? Ma che domande… strafottente, sudaticcio, con un testo completamente non politically correct, che se se ne accorge qualche adepto woke è la fine, forse un filo meno fuzz del solito ma insomma, non lamentiamoci per ‘sti dettagli. Uscito originariamente (e un po’ sottotono) in una compilation di cover e rarità a opera della (indovinate un po’? Sì, sempre lei) Cleopatra Records, Barking Up the Wrong Tree viene qui riproposto come accompagnamento al tanto agognato documentario sulla band, in uscita a breve – The Fuzztones VS the World di Danny Garcia –, ovvero un film che, se riuscirà anche solo in minima parte a catturare l’essenza selvaggia e senza compromessi delle leggende del garage rock più marcio, sarà un evento imperdibile per tutti gli amanti del genere e non solo.
The Gentle Spring: Sugartown
Un arpeggio gentile di chitarra, lento, quasi sospeso. Poi si sentono le corde correre e la voce di Michael Hiscock (già nei Field Mice e nei Trembling Blue Stars) parlare di cieli blu su un Dorset inondato di luce e nubi grigie mai così lontane, fino all’arrivo della seconda voce, Émilie Guillaumot.
È passato poco più di un minuto e ci siamo di nuovo innamorati. Si sente l’esperienza, lo struggimento e la freschezza nel tocco, in un duo che lavora sui minimi termini per scaldarci l’anima. Voci, tastiere, chitarre: le solite cose, certo, ma qui sembrano scendere direttamente dal paradiso, lievi e impalpabili, a lasciarci sospesi in attesa di qualcosa. Un segno, un album, un altro brano con il quale commuoverci e per il quale poterci struggere, da cui farci sedurre.
Sugartown è un pezzo che sarebbe potuto uscire una quarantina d’anni fa o in un altro momento, ma il fatto che abbia scelto di farlo quest’anno provoca quasi un senso di sospensione, di pace, di calma. Riesce con la sua grazia a ripulire il frastuono, il rumore di fondo, facendoci capire che per arrivare al cuore del discorso non serve poi molto se non buon gusto, ispirazione e coraggio. Il coraggio di mostrarsi onesti e candidi, al servizio di una musica stupenda, proprio come una primavera gentile.
This Eternal Decay: Rise & Fall
di Max Zarucchi
Continua inarrestabile l’ascesa (perlomeno a livello di appeal compositivo) dei capitolini This Eternal Decay: dopo aver girato i goth club di mezza Europa nel 2023 e calcato i palchi dei più prestigiosi festival oscuri del vecchio continente, calano un asso autunnale che è antipasto del nuovo album (Spettro) previsto per il 10 gennaio del prossimo anno sempre sotto l’ala della leggendaria Trisol. E se i presupposti sono questi, è il caso che i darkettini sgambettanti comincino a sfregarsi le mani.
Perché, a prescindere dai gusti personali, è incredibile come Riccardo Sabetti (mastermind indiscusso del progetto, sempre affiancato dai sodali Andrea Freda, Alessio Schiavi e Pasquale Vico) riesca sempre a fare centro, creando brani non solo di grande qualità e spessore, ma anche incredibilmente orecchiabili e ballabili: veri e propri tormentoni assicurati, per cui molte altre band più blasonate e popolari nel genere farebbero carte false.
Meno guitar-oriented rispetto al passato, Rise & Fall in un mondo giusto potrebbe e dovrebbe essere il lasciapassare per gli slot più in alto dei cartelloni degli eventi alternative non solo europei: se la promozione farà il suo dovere e saprà arrivare agli ascoltatori giusti, il 2025 potrebbe finalmente essere l’anno dell’eterna decadenza.
Tyler the Creator: Noid
Noid è l’ultimo tassello prima dell’uscita di CHROMAKOPIA, settimo album e nuova fatica dell’artista losangelino Tyler the Creator, trentatreenne ma già attivo sulla scena da ben quindici anni.
Noid è la necessità di avere una maschera per sfuggire alla notorietà, calibrando il suono tra funk rock e tasselli africani (il campionamento è di Nizakupanga Ngozi degli Ngozi Family) e jazzati. Una presa di posizione su un tema che francamente sarà difficile evitare vista l’iconicità del personaggio, che è riuscito nonostante tutto a giocare con la sua immagine senza che essa prevaricasse sulla sua arte, rimanendo riconoscibilissimo, colorato e obliquo.
Qui in compenso riesce a riempire di tensione le rime, riportandoci agli inizi in cui sembrava intenzionato a inocularci paranoie e insetti (ricordate tutti il video di Yonkers, vero?). E anche in questo caso il video è semplicemente stupendo: c’è un sentore di thriller alla Jordan Peele, un cameo dell’attrice Ayo Edebiri (la Sydney Adamu della serie The Bear), e l’aria nella quale si muove il talento di Odd Future è quella dell’ennesimo grande classico, con un suono trascinante e completo che ci spinge nella calca e crea movimento, cercando la fuga e la fama nel medesimo istante.
Venamoris: In The Shadows
La vena dell’amore, Venamoris, è il progetto che lega i coniugi Lombardo ormai da qualche anno, dopo il loro debutto Drown in Emotion e l’imminente secondo disco.
Il singolo In the Shadows ne aprirà le danze, riuscendo a essere morboso, marziale e sexy nel medesimo istante, come si conviene a figure che hanno lambito l’intensità e l’oscurità così a lungo nella loro vita, quando si dimostrano amore e affetto.
La voce di Paula viaggia su vocalizzi reiterati e campionati, mentre Dave mantiene i ritmi quasi fossero placche solide, così da permettere alla consorte di non cadere fra la lava infernale. In tutto questo, c’è un romanticismo drammatico, stremato, sensuale, che potrebbe diventare facilmente un viatico verso quell’unione fra eros e thanatos che ha caratterizzato moltissimi duetti della storia. Pensiamo a PJ Harvey insieme a Nick Cave, ma anche agli Handsome Family.
Famiglia, amore, un senso incombente di oscurità nel quale perdere i propri corpi e le proprie anime. Forse la musica li salverà o forse saranno proprio queste sette note dannate a trascinarli nel torbido. Noi pensiamo comunque che l’amore possa avere la meglio e, come si dice, il paradiso sarà un buon posto per il clima, ma a livello di compagnia e di attrazioni l’inferno non ha proprio rivali.