[News] Doechii e gli altri: l’hip hop al fianco delle proteste di Los Angeles
«Sento che è mia responsabilità […] parlare a nome di tutte le persone oppresse».
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«Trump sta usando la forza militare per fermare una protesta. Vorrei che rifletteste su che tipo di governo sia quello che, ogni volta che esercitiamo il nostro diritto democratico di manifestare, schiera l’esercito contro di noi». Doechii lo ha detto forte e chiaro ai BET Awards 2025 che si sono svolti qualche giorno fa al Peacock Theater di Los Angeles. E cornice migliore di quella non poteva essere ammessa, visto che nel giro di qualche chilometro numerose persone erano ancora in strada a protestare contro i raid dell’ICE, l’agenzia che si occupa di sicurezza delle frontiere e immigrazione, compiuti in luoghi di lavoro sparsi per la città ai danni di presunti “irregolari”, pescando un po’ nel mucchio e arrestando persone soprattutto di origine latina o ispanica.
Le proteste sono cominciate venerdì 6 giugno in modo spontaneo e pacifico, con le comunità che si sono espresse in totale solidarietà – non dobbiamo dimenticare, infatti, i tantissimi cittadini di seconda o terza generazione che risiedono nell’area – nei confronti dei “vicini” arrestati, che in molti casi non sono veri e propri “irregolari”, data la complessità dello status delle persone migranti. Il più delle volte, anzi, sono lavoratori poveri, il risultato di decenni di problemi rimasti irrisolti. Qualche sporadico episodio di violenza ha provocato la reazione del presidente americano Donald Trump, il quale ha deciso di inviare la Guardia Nazionale (e in seguito anche 700 marines), aggravando la situazione. Secondo la direttrice senior del Programma Libertà e Sicurezza nazionale del Brennan Center for Justice, Elizabeth Goitein, citata tra gli altri dal New York Times, è la prima volta dal 1965 che un presidente attiva la Guardia Nazionale di uno Stato senza la richiesta esplicita del governatore.
In quell’occasione fu il presidente Lyndon B. Johnson a inviare le truppe in Alabama per proteggere i manifestanti per i diritti civili. Afferma ora il governatore della California, Gavin Newsom, che quella di Trump è stata «una mossa volutamente provocatoria». Non è il solo a pensarla in questa maniera. Diversi esperti e commentatori ritengono la misura dell’amministrazione Trump una resa dei conti verso le cosiddette città santuario, tanto più in California, dove – si mormora nei soliti ambienti politici – Newsom nutrirebbe ambizioni presidenziali in previsione della corsa alla Casa Bianca del 2028.
Mentre le proteste si allargavano a San Francisco e poco dopo anche al Texas e a città come New York, Boston, Chicago e Atlanta, Doechii veniva premiata a L.A. quale migliore artista hip hop femminile. Dal palco dei BET Awards non si è lasciata allora sfuggire l’opportunità di far sentire la sua voce: «Ci sono attacchi spietati che stanno creando paura e caos nelle nostre comunità in nome della legge e dell’ordine». «Le persone – ha quindi aggiunto la rapper della TDE, rivelazione lo scorso anno con Alligator Bites Never Heal – vengono travolte e strappate alle loro famiglie. Sento che è mia responsabilità, come artista, usare questo momento per parlare a nome di tutte le persone oppresse. Meritiamo tutti di vivere nella speranza e non nella paura. Spero che resteremo uniti».
Doechii non è stata l’unica artista proveniente dall’universo hip hop a schierarsi dalla parte dei manifestanti. Al riguardo vanno anche considerati alcuni elementi a rendere il momento particolarmente adatto. Tanto per cominciare, la California e Los Angeles hanno alle loro spalle una lunga tradizione di proteste in grado di catalizzare l’attenzione dell’America intera su questioni di rilievo nazionale (per esempio le rivolte del 1992 sono un ricordo tuttora vivo, tramandato alle nuove generazioni) e in secondo luogo perché la cultura hip hop è strettamente legata alle comunità latine e, più in generale, delle persone migranti, il cui contributo allo sviluppo del movimento fu fondamentale fin dalla nascita.
Il rapper e attivista di Chicago, Vic Mensa, non nuovo a iniziative contrarie alle politiche migratorie delle due amministrazioni Trump e ai metodi fin troppo spicci dell’ICE, ha pubblicato sui social un video in cui spiega perché i neri dovrebbero essere interessati a quanto sta accadendo in queste convulse giornate, sottolineando che «la solidarietà fa la forza».
↗️ Foto via Instagram
The Game, nativo di Compton e pilastro della scena musicale losangelina, è invece intervenuto con un post su Instagram. «Da che ho memoria… in questa città ci sono sempre state le comunità Black e Brown. Fin da quando ero bambino e ancora oggi, siamo sempre stati fianco a fianco, nel bene e nel male. Tutti noi. Non sempre andando d’accordo, ma condividiamo Los Angeles da molto tempo. Sono al vostro fianco come so che voi sareste al nostro». Concludendo con quella che ha tutta l’aria di essere una citazione in piena regola: «To live & die in L.A.».
«It wouldn’t be L.A. without Mexicans
Black love, Brown Pride in the sets again»– 2Pac, To Live & Die In L.A., 1996.
Il tema, dicevamo, non è mai stato ai margini dell’hip hop. Si ricorderà, a inizio 2019, una critica di 21 Savage alle politiche migratorie contenuta in una più estesa versione del brano a lot. In seguito anche 21 Savage passerà brutti quarti d’ora con l’ICE, perché – si verrà a sapere – cittadino del Regno Unito, entrato negli Stati Uniti nel 2005 con un visto temporaneo e scaduto da anni. Vale la pena segnalare un brano tratto dal famoso musical Hamilton di Lin-Manuel Miranda, Immigrants (We Get the Job Done), interpretato da K’naan e altri artisti con storie di spostamenti o di discendenze legate alle migrazioni, a dimostrazione dei benefici che storicamente molte persone non nate negli Stati Uniti hanno saputo portare alla nazione.
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