[News] Essere Snoop Dogg. Dal gangsta rap al Time 100
Passando per il gospel e la nuova dimensione della Death Row Records.
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Quando pubblicare un album di musica gospel, se non di domenica? Il 27 aprile è uscito per la Death Row Records il nuovo progetto in chiave mistica di Snoop Dogg. Il titolo è Altar Call – un album collaborativo in onore di sua madre, Beverly Tate, morta nel 2021, al cui interno compaiono artisti dell’etichetta e altri come Jamie Foxx e Jazze Pha –, ideale seguito di una precedente raccolta del 2018, Bible of Love. Tanto basta per capire che non si tratta di un esperimento inedito per lo zio Snoop, ma l’elemento di novità stavolta è dato proprio dall’etichetta che lo produce, un tempo culla del gangsta rap e del g-funk: la Death Row Records, appunto. La linea l’ha tratteggiata lui stesso, in una conversazione con Time, che lo ha inserito tra le 100 persone più influenti del 2025: «L’identità originale della Death Row era il gangsta rap; la nuova identità è ottima musica, brave persone, pace e amore».
C’era una volta il gangsta rap della soleggiata California, dunque? È una domanda cui è difficile rispondere. Per molti versi sì – il suo declino è cominciato parecchio prima che Snoop rilevasse la Death Row nel 2022, indirizzandola in un percorso musicale diverso dalle origini –, ma il sottogenere più famoso dell’hip hop ha sempre nascosto significati in verità più profondi di quelli che molti osservatori gli hanno attribuito (anche nel periodo di massimo splendore) e non è escluso che ancora oggi riesca a infilarsi qua e là sotto mentite spoglie. Tuttavia, se a decretare l’inversione a “u” di un capitolo tanto importante della galassia gangsta – quale è stata la “casa” di The Chronic e All Eyez on Me – è un suo alfiere degli anni ‘90, al di là del fatto che ne sia ora il capo, qualche riflessione al riguardo appare doverosa.
A pensarci bene la nuova dimensione della Death Row Records è in linea con il personaggio esuberante e funambolico che è diventato Calvin Broadus, vero nome di Snoop Dogg. Tra le 100 persone più influenti del 2025 di Time non ci è finito per una fortuita combinazione di eventi. La rivista lo colloca nel gruppo degli “innovatori” e nel ritratto a lui dedicato cita le comparsate televisive, l’improbabile amicizia con Martha Stewart, lo spettacolo nello spettacolo che è stata la sua presenza alle Olimpiadi di Parigi 2024 in veste di inviato speciale della NBC, Doggyland – il suo canale YouTube per bambini a tema hip hop (Snoop presta la voce al personaggio animato di Bow Wizzle) –, l’impegno nel football giovanile e tutte le altre innumerevoli attività imprenditoriali in cui si è cimentato, dal cibo all’abbigliamento. E adesso, aggiungiamo noi, anche l’avventura nel settore degli alcolici di lusso – tanto caro negli ultimi anni alle celebrità hip hop, da Diddy a 50 Cent – al fianco del “socio” di una vita, Dr. Dre (collegata all’iniziativa è l’apertura a Nashville a inizio mese del locale Still G.I.N. Lounge By Dre and Snoop).
A uno che ascolta Altar Call e sa che l’ultimo, autocelebrativo, disco di Snoop Dogg è Missionary, pubblicato a dicembre 2024, potrebbe scappare un sorriso sornione. Era il 1992 quando il mondo si accorse di quel ragazzo smilzo di Long Beach, che all’epoca si faceva chiamare Snoop Doggy Dogg. Snoop era praticamente ovunque in The Chronic e contribuì non poco all’incredibile successo che ottenne l’esordio da solista di Dr. Dre con la neonata Death Row Records, fondata da quest’ultimo e Suge Knight. L’anno successivo, per la stessa etichetta, uscì un altro classico del rap californiano, Doggystyle, debutto discografico di Snoop, con produzioni firmate dal solito Dr. Dre: il medesimo schema verrà riproposto oltre 30 anni più tardi con Missionary, quasi a sancire l’alfa e l’omega del sodalizio tra i due.
Da Doggystyle a Missionary – si dice che la malizia sia negli occhi di chi guarda, ma qui è servita su un vassoio d’argento – tanta acqua è passata sotto i ponti, soprattutto per la Death Row Records, che Dre abbandonerà nella seconda metà degli anni ‘90 per dare vita alla Aftermath, mentre Snoop traslocherà, dopo la morte di Tupac Shakur e l’uscita del suo secondo album, Tha Doggfather, alla No Limit di Master P. Per quanto le loro strade non si siano mai separate del tutto, rimandiamo il riassunto delle rispettive carriere e della travagliata epopea della Death Row Records a un secondo momento. Qui ci limitiamo a ricordare che nel 2022, all’incirca negli stessi giorni del Dre Day all’Halftime Show del Super Bowl, Snoop Dogg ha acquisito il marchio da MNRK Music Group, svelando presto l’ambizione di trasformare la Death Row in «un’etichetta NFT», qualsiasi cosa volesse significare (piano che sentiamo di poter definire naufragato, un po’ come la mania per gli NFT, anche se lui all’epoca sembrava avere le idee abbastanza chiare).
Da quando è Snoop Dogg a guidarla, la Death Row Records ha pubblicato lavori di artisti non sempre conosciutissimi alle nostre latitudini, come Jane Handcock, October London – suo collaboratore ormai di vecchia data, che sembra aver preso seriamente questa presunta comunanza con Marvin Gaye – e Charlie Bereal, che in Walk with the Father (pubblicato a gennaio) rievoca atmosfere à la Curtis Mayfield. Tra un progetto soul e R&B, per non lasciare il gangsta rap troppo nelle retrovie, anche i redivivi Tha Dogg Pound, con W.A.W.G. (We All We Got), uscito l’anno scorso.
Il 24 aprile a Manhattan si è tenuta la cerimonia di premiazione delle cento personalità più influenti del 2025 di Time. Per la rivista, Snoop Dogg è stato descritto così dalla giornalista Hoda Kotb:
Con il suo inconfondibile carisma, stiloso e disinvolto [superfly charm], Snoop è rimasto al passo con i tempi e autentico senza sforzo, anche sfoggiando una tuta. Dalle sue radici nel gangsta rap alla sua amicizia in stile Cheech & Chong con Martha Stewart, Snoop riesce a entrare in sintonia con ogni generazione.
A dirla tutta, però, c’è stato un attimo di maretta tra Snoop e una fetta consistente del suo pubblico. È accaduto a gennaio, alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, quando a Washington si è esibito con Rick Ross e Soulja Boy a una delle cerimonie inaugurali dell’amministrazione entrante, il Crypto Ball. In molti gli hanno rimproverato il cambio di rotta rispetto al 2017: allora contestò aspramente gli artisti che avevano in programma di partecipare al primo insediamento di Trump. Snoop non ha mai risposto alle critiche, o almeno non in maniera diretta. Incalzato sull’argomento durante il dialogo con Time, ha fatto spallucce: «Siamo passati a un altro giorno. Niente di cui parlare». Proprio come Lil Wayne – sebbene più esplicito –nell’intervista con il giornalista Andre Gee per Rolling Stone, in riferimento alla controversa foto del 2020 con il presidente (l’articolo è apparso anche nell’edizione italiana del magazine).
Snoop Dogg afferma che non si occupa di politica, né di religione. Eppure, senza ombra di dubbio, è uno dei personaggi più istrionici dell’attuale star system americano, in grado di sguazzare anche nei contenitori in teoria a lui distanti. È pop nel senso letterale di popular; è amato da bambini e adulti; critica Trump, poi lo elogia all’occorrenza. Passa con disinvoltura da Missionary ad Altar Call, per essere infine il “maestro” Bow Wizzle. “Gangster” quanto basta, non manca un disco di Bootsy Collins. Prende in giro i fan sulle sue abitudini per una campagna pubblicitaria e chissà quante altre cose ha ancora in serbo. Time ricorda che potrebbe essere in Italia nel 2026 per i Giochi olimpici invernali di Milano Cortina, confermando, nel caso, di averci preso gusto con lo sport. Perciò, come direbbe lui, rilassati fino al prossimo episodio.
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