[News] Glastonbury 2025 è stato il festival delle polemiche
C'entra il sostegno dato da diversi artisti alla Palestina, in modi più o meno urbani.
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Il festival di Glastonbury, uno degli eventi musicali più celebri d’Europa e del mondo, si è svolto quest’anno tra il 25 e il 29 giugno a Pilton, in Inghilterra. È un appuntamento ormai consueto che rappresenta molto più di un semplice evento musicale: è un’istituzione culturale che dal 1970 rappresenta l’anima della controcultura britannica. Nato nella campagna del Somerset, il festival è cresciuto da raduno hippie a uno degli eventi musicali più importanti d’Europa, capace di attirare oltre 200.000 persone da tutto il mondo.
Fondato da Michael Eavis (proprietario della Worthy Farm – sui cui terreni ancora oggi si svolge l’evento –, laburista convinto, metodista praticante, ambientalista di lungo corso: pare che l’idea di organizzare un evento musicale gli sia venuta nel 1970, ispirato da un concerto dei Led Zeppelin a Bath), il festival si è sempre tenuto in bilico tra l’esigenza di mettere in scaletta nomi di richiamo e band più indipendenti, emergenti e… voci dissidenti. Questa tradizione di dare spazio alla diversità e al dissenso ha caratterizzato anche questa edizione che si è rivelata una delle più controverse degli ultimi anni.
Chi si è esibito
Quest’anno i tre headliner principali sono stati The 1975, Neil Young e Olivia Rodrigo, con Rod Stewart che ha occupato il tradizionale slot delle “Legends” della domenica. Neil Young aveva inizialmente dichiarato che non si sarebbe esibito a Glastonbury 2025, esprimendo la sua convinzione che il festival fosse “sotto il controllo aziendale” a causa della partnership con la BBC. Tuttavia, due giorni dopo, ha rilasciato una dichiarazione successiva sul suo blog confermando che avrebbe fatto da headliner con la sua nuova band, i Chrome Hearts. Alla fine, è stato anche raggiunto un accordo con la BBC per la trasmissione del suo set. Rod Stewart si è esibito per la seconda volta al festival, la sua unica apparizione precedente risaliva al 2002. Nile Rodgers e gli Chic si sono esibiti subito dopo il set di Stewart.
Il cartellone del festival di Glastonbury, come sempre, è sterminato: tra gli altri artisti di rilievo che hanno calcato i vari palchi ci sono stati anche questi:
Lorde, il cui set “segreto” alla Woodsies Tent ha registrato un’affluenza tale da rendere necessaria la chiusura dell’intera area circostante. Ha presentato il suo nuovo album, Virgin, per intero. Sullo stesso palco si è esibita anche St. Vincent.
Lola Young, che già ci aveva impressionato favorevolmente l’anno scorso e che sta vivendo un prolungato momento di grazia.
Pulp, che si sono esibiti sul Pyramid Stage, per la prima volta da headliner dal 1998. Venerdì ha suonato anche Alanis Morrisette.
Haim, un altro dei set a sorpresa.
Skepta, che ha sostituito i Deftones sul palco Other a causa di una malattia.
The Prodigy sono tornati al festival per la prima volta dal 2009 e dopo la morte del cantante Keith Flint.
Sul palco Acoustic, gli headliner includevano Ani DiFranco, Nick Lowe e Roy Harper, con The Searchers che hanno tenuto la loro ultima esibizione insieme.
Maribou State e Overmono hanno completato la lineup del West Holts Stage.
Four Tet, Scissor Sisters (alla loro prima apparizione dal 2010) e Jorja Smith hanno guidato il palco Woodsies.
Le polemiche per il sostegno alla Palestina
Dicevamo all’inizio: anche quest’anno (per fortuna?) non sono mancate le polemiche, le voci dissonanti, le controversie che hanno riguardato soprattutto le posizioni pro Palestina espresse da alcuni artisti e dal pubblico. La polizia britannica ha avviato un’indagine su due band in particolare: Kneecap (di cui avevamo anche scritto qui) e Bob Vylan.
Il trio hip hop nordirlandese Kneecap è stato al centro di intense polemiche. Già prima del festival, associazioni ebraiche e politici britannici avevano criticato la loro presenza a causa delle posizioni di sinistra e del sostegno esplicito alla causa palestinese, che descrivono come una “resistenza anticoloniale” contro lo Stato di Israele. Un membro della band, Liam Óg Ó hAnnaidh (noto come Mo Chara), era stato formalmente accusato di terrorismo a maggio per aver urlato «Viva Hamas, viva Hezbollah» e aver esposto una bandiera di Hezbollah durante un concerto a Londra. Il primo ministro britannico Keir Starmer aveva definito la partecipazione dei Kneecap «non appropriata».
Nonostante le polemiche, gli organizzatori hanno permesso ai Kneecap di esibirsi: durante la loro performance, Mo Chara ha indossato una kefiah, simbolo della lotta palestinese, mentre un altro membro aveva una maglietta con la scritta «We are all Palestine Action». La band ha anche intonato il coro «fuck Keir Starmer!» per il suo tentativo di far annullare il loro concerto, ringraziando gli organizzatori per averli fatti esibire. La BBC, emittente ufficiale del festival, ha deciso di non trasmettere in diretta il loro concerto, rendendolo disponibile solo in un secondo momento su YouTube dopo essere stato revisionato. Il set dei Kneecap è stato così affollato che gli organizzatori hanno dovuto chiudere l’accesso all’arena per evitare il sovraffollamento.
Ancora più controversa è stata l’esibizione del duo punk rap londinese Bob Vylan. Durante la loro performance, trasmessa in diretta dalla BBC, hanno invitato il pubblico a unirsi ai cori «morte alle IDF» (riferendosi all’esercito israeliano). Il cantante Bobby Vylan ha anche criticato esplicitamente la BBC, accusandola di schierarsi con la linea del governo israeliano: «Le Nazioni Unite lo hanno definito un genocidio, BBC lo definisce un “conflitto”».
La BBC è stata infatti pesantemente criticata per non aver interrotto la diretta, mostrando solo un avviso generico («Questa esibizione contiene contenuti politici»). Il primo ministro Starmer ha definito il contenuto «un discorso d’odio terribile», mentre altri politici hanno chiesto spiegazioni alla BBC. Le conseguenze per Bob Vylan sono state immediate e severe: il sottosegretario di Stato americano Christopher Landau ha annunciato su X che la band avrebbe avuto i visti revocati, cancellando di fatto il suo tour americano. La polizia britannica ha avviato un’indagine criminale per possibili crimini d’odio.
Altri artisti hanno espresso solidarietà in modi meno controversi: Nilüfer Yanya si è esibita con uno sfondo «Free Free Palestine» e ha fatto srotolare uno striscione di sostegno per Gaza. Anche una parte consistente del pubblico ha mostrato supporto alla causa palestinese con bandiere, kefiah e cartelli.
Emily Eavis, figlia del fondatore Michael Evis e che ora è una delle organizzatrici, ha cercato di bilanciare la situazione dichiarando: «È inevitabile che sui nostri palchi si esibiscano musicisti di cui non condividiamo le opinioni, e la presenza di un musicista qui non dovrebbe mai essere vista come una tacita approvazione delle loro opinioni». Tuttavia, si è detta «inorridita» per le parole di Bob Vylan.
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