[News] Quando il rap finisce sotto processo
A$AP Rocky è stato assolto dalle accuse di aggressione, nonostante una certa tendenza ad usare il rap come prova indiziaria.
Partiamo dalla cronaca, intanto. Martedì 18 febbraio, il noto rapper A$AP Rocky – vero nome Rakim Mayers, 36 anni – è stato assolto da una giuria di Los Angeles da tutte le accuse a suo carico nel processo per aggressione ai danni dell’ex amico e collaboratore, A$AP Relli (vero nome Terell Ephron). È probabile che abbiate visto in giro un po’ ovunque, online, il video di lui che si scapicolla ad abbracciare la sua (ancor più famosa) compagna, Rihanna (la coppia ha due figli), dopo la pronuncia della sentenza, al termine di un processo durato tre settimane. L’entusiasmo era in qualche misura giustificato: A$AP Rocky rischiava 24 anni di reclusione per qualcosa che dal primo istante ha giurato di non aver commesso, rifiutando anche il patteggiamento.
I fatti, allora. Secondo la versione di Ephron, il 6 novembre 2021, durante una discussione a Los Angeles, Mayers lo avrebbe minacciato con una pistola e ferito superficialmente dopo aver sparato un colpo. La difesa di A$AP Rocky – “capitanata” da Joe Tacopina, un nome per nulla nuovo alle nostre latitudini per via del suo coinvolgimento nel calcio italiano come presidente della Spal – ha sostenuto da subito che l’arma impugnata da Mayers fosse in realtà una pistola di scena utilizzata su un set, da cui al massimo sarebbero potuti partire dei colpi a salve.
In effetti, chi ha condotto le indagini sul luogo dell’alterco non ha scovato tracce o acquisito eventuali filmati di sorveglianza che potessero confermare il racconto di Ephron. Anzi, la difesa è passata presto al contrattacco: A$AP Relli avrebbe tentato di inquinare le prove con l’intenzione di spillare soldi all’ex amico, motivato oltretutto dalla crescente invidia per il successo di Mayers.
L’assoluzione è per A$AP Rocky un’ottima notizia anche in termini di immagine. A breve è prevista l’uscita di un album (che manca dal 2018), peraltro annunciato da tempo; è tra i responsabili dell’edizione 2025 del Met Gala; in più lo vedremo in estate al cinema nel nuovo film di Spike Lee (il quale ha esultato per il verdetto su Instagram), Highest 2 Lowest. Da diversi anni gli interessi economici di A$AP Rocky sono legati anche al mondo della moda. Qualcuno, infatti, ha notato come il rapper sia stato particolarmente abile a sfruttare il processo quale “passerella” per sfoggiare abiti firmati e costosissimi (nel frattempo, pochi giorni fa, è stato nominato primo direttore creativo di Ray-Ban).
Ma, al di là degli aspetti più di contorno, durante le udienze c’è stato come un sussulto inaspettato e inusuale in situazioni del genere. È stato quando sul banco dei testimoni è salito A$AP Twelvyy, un altro membro del collettivo di New York, A$AP Mob, di cui Rocky, appunto, è il componente più in vista. A Twelvyy, a un certo punto, l’accusa ha chiesto cosa significasse la sigla AWGE.
AWGE è il nome dell’etichetta e dell’agenzia creativa di Rocky e nessuno sa, poiché non è stato mai rivelato, per cosa stia l’acronimo. «Non dirlo!», si è allora udito dalla postazione di Mayers. Sulla pagina About del sito di AWGE si legge, in puro stile Fight Club: «Rules. #1 Never reveal what AWGE means. #2 When in doubt always refer to rule #1». L’uscita di Rocky, scomposta per la solennità di un’aula di tribunale, ha provocato la reazione dell’accusa e una rapida interruzione della testimonianza, anche se la richiesta di conoscere la verità sul nome dell’agenzia non ha prodotto alcunché. Non è chiaro quali fossero le finalità dei procuratori (qui un’ampia e accurata ricostruzione dell’accaduto), fatto sta che molti fan sui social media hanno elogiato Rocky per la volontà di mantenere il segreto persino al processo.
Se l’arte viene utilizzata come prova
Lo sforzo di scoprire il significato di AWGE è dunque caduto nel vuoto, con gli avvocati di A$AP Rocky che hanno inoltre sollevato dubbi sulla pertinenza della domanda. Non sappiamo molto sugli obiettivi dell’accusa in quel frangente, dicevamo, ma in generale sappiamo che, ancora nel recente passato, specie con i rapper alla sbarra, diversi procuratori sono stati criticati per i tentativi di aggravare la posizione degli imputati, tirando in ballo potenziali messaggi subliminali che sarebbero contenuti nella loro arte o nelle loro iniziative, quasi fossero confessioni in piena regola. Proprio la California, per prima, si è dotata di una legge firmata nel 2022 dal governatore dello Stato, Gavin Newsom, che limita il ricorso a opere artistiche quali prove nei casi penali. Il provvedimento – favorito da un ingente movimento di opinione contrario all’abuso di tale pratica – riguarda tutti gli artisti, ma c’è da scommettere che possa toccare da vicino soprattutto quelli provenienti dall’universo hip hop a causa della maggiore inclinazione ai testi espliciti. Senza andare troppo indietro nel tempo (quando tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta i 2 Live Crew subirono un processo per oscenità), alcune vicende giudiziarie hanno fatto scuola.
Molto seguito, ad esempio, è stato il processo al rapper e produttore di Atlanta, Young Thug, più altri componenti della Young Stoner Life Records (YSL) – l’etichetta che fondò nel 2016 –, per diversi capi di imputazione, alcuni nell’ambito del RICO Act. Jeffery Lamar Williams, vero nome di Young Thug, è stato rilasciato verso fine 2024, dopo che il giudice ha stabilito una pena di 15 anni di libertà vigilata. Tuttavia, durante la fase processuale, l’uso da parte dell’accusa di stralci dei testi delle canzoni della YSL quale ipotetico indice di ammissione di colpevolezza è stato uno dei temi più dibattuti. Già in precedenza, in una conferenza stampa di fine agosto 2022, la procuratrice distrettuale della contea di Fulton si “premurò” di dare il “consiglio legale” ai presunti membri di una gang di non confessare possibili crimini nei testi rap se non vogliono che poi vengano usati contro di loro.
Di nuovo in California, la storia di Drakeo the Ruler – quotato rapper locale morto a dicembre 2021 dopo essere stato accoltellato nel backstage del festival Once Upon a Time in LA – è piuttosto emblematica. Drakeo affrontò un lungo percorso giudiziario, passando gran parte del tempo in prigione. Raggiunto il patteggiamento, è uscito a novembre 2020, ma il caso è stato tortuoso e comprendeva una serie di reati contestati, tra cui omicidio (da questo venne assolto nel 2019) e l’appartenenza a un gruppo rap che – secondo l’accusa – era una gang criminale, pareri assunti (anche) sulla base dei testi di alcuni brani. A giugno 2020, Drakeo pubblicò Thank You for Using GTL, un disco “inciso” dal telefono della prigione in cui, alla conclusione di ogni pezzo, una voce pre-registrata ripete la frase che dà il titolo all’album, «Thank you for using GTL», vale a dire uno dei principali servizi per la gestione delle chiamate dalle strutture penitenziarie statunitensi.
A detta dei critici, queste sono vicende che vedono contrapporsi diversi elementi, condizionati talvolta da stereotipi e atteggiamenti ritenuti pretestuosi nei riguardi delle espressioni artistiche. A gennaio 2022 Rolling Stone riferiva del sostegno pubblico di artisti del calibro di JAY-Z, Big Sean, Fat Joe, Kelly Rowland, Killer Mike e Robin Thicke al disegno di legge presentato nel 2021 nello Stato di New York e denominato Rap Music on Trial (qui e qui ulteriori aggiornamenti). I professori Erik Nielson (University of Richmond) e Andrea L. Dennis (University of Georgia School of Law), autori del libro Rap on Trial: Race, Lyrics, and Guilt in America (a cui è collegato il sito Rap on Trial), hanno rilevato dalla fine degli anni Ottanta centinaia di casi di questo tenore. Dal libro è infine derivato il documentario del 2024, As We Speak: Rap Music on Trial.
A quanto pare non si tratta di un problema solo americano. La professoressa Abenaa Owusu-Bempah della London School of Economics ha analizzato in un paper del 2022 – Prosecuting Rap: What Does the Case Law Tell Us? – casi giudiziari in Inghilterra e nel Galles in un periodo compreso tra marzo 2005 e gennaio 2021. Scrive Owusu-Bempah che «l’evidenza aneddotica suggerisce che alcuni giudici siano ora più ricettivi alle argomentazioni contro l’ammissione di testi rap, soprattutto quando la difesa è assistita da un esperto» in materia. Perciò, al riguardo, dice la professoressa, sarebbe opportuno promuovere un approccio «più rigoroso» ed è importante che i pubblici ministeri tengano conto delle (spesso) irrilevanti prove di natura artistica e delle implicazioni del loro eventuale utilizzo in un tribunale.